Volevo fare l’attrice, da bambina. Dico, quando ero molto piccola e per un bel pezzo anche dopo avevo sta convinzione di poter fare l’attrice. Imitavo le persone, inventavo personaggi e i miei genitori mi guardavano con sorriso benevolo alimentando in me questa idea. Mio padre mi raccontava barzellette e mi chiedeva di ripeterle davanti ai suoi amici, il pubblico rideva ed applaudiva e io mio gonfiavo tipo tacchino ammuttunato.
In ingresso qui ad Erice, c’è sempre stata una cassapanca in legno scurissimo dentro la quale cacciavamo i nostri giocattoli, prima di tornare giù quando finivano le vacanze e ad ogni agosto la cassapanca si riapriva per mostrare il suo tesoro ludico. Proprio sul fondo della cassapanca giaceva un bastone in ferro, più un tubo con un lato ricurvo, in effetti, comunque a me sembrava bastone. Decisi che era un bastone, mi avvolsi in uno degli scialle che nonna lavorava all’uncinetto e che poi venivano lasciati sempre su qualche spalliera di divano su al monte, perché scaldassero in quei pomeriggi lattei tipici del posto. Mi coprii la testa con questo scialle e mi avvolsi nei due lembi frangiati.
Aprii il portoncino ed uscii sui gradini di casa con le spalle curvate e le ginocchia un po’ flesse, facendo finta d’aver bisogno del bastone di ferro che mi portavo appresso. Con le labbra strette fra i denti e la palpebra mezza scesa cominciai ad andare avanti e indietro sui ciottoli davanti casa: “sugno a vicchiaredda di via Sales nummaro trintotto. Un m’ave aiutare nuddo a mia? un pozzo caminare! un m’a firo a trasire ‘n casa! oh! sugno a vicchiaredda di via Sales nummaro trintotto!”
Non diventai mai attrice, però sono sulla buona strada per diventare la vicchiaredda di Via Sales. Chissà forse lo sapevo già allora o lo desideravo già allora, tant’è! io ci sono, Erice pure, la strada è quella, mi cambiarono da numero paro a numero ziparo il civico e un poco di vuredda fraricie mi ficiro fare, ma sono dove dovevo e dove volevo. Ciak, si gira!
